L’orologio della piazza segna l’una in punto. E’ l’ora del sacrificio. Al grido “chiamamulu a Sant’Affiu”, il portone della cattedrale si apre per accogliere i nuri che a dorso nudo entrano ed escono di corsa a piedi nudi. Il giro santo parte proprio dallo stesso tragitto che Alfio, Filadelfo e Cirino furono costretti a subire con le travi addosso per volere del tiranno Tertullo. Pregano gridando il nome del santo patrono per sciogliere il voto e per la grazia ricevuta.
Percorrono chilometri indossando pantaloncini bianchi e fascia rossa legata al petto. Hanno la mano sinistra piegata dietro la schiena, sulla destra un mazzo di fiori. Per i lentinesi S. Alfio è più di una festa religiosa, più di un sacrificio. E’ una necessità, un bisogno, un sentimento primordiale che nasce dalle viscere e viene soddisfatto solo attraverso quel giro santo. Senza mai fermarsi percorrono tutte le tappe, i luoghi del martirio e della detenzione di Alfio Cirino e Filadelfo.
Tra la folla di fedeli sotto la pioggia arrivano nella chiesa della fontana, dove la tradizione popolare vuole che in concomitanza dell’uscita del fercolo ( alle 10,00 del 10 maggio, che corrisponde all’ora del martirio), l’acqua del fiume che scorre sotto, si alzi di circa un metro dal suo livello abituale.
La città si risveglia, prega per questo sacrificio dei nuri che invocano ad alta voce “Prima Dio e i santi Mattri”. Ansanti arrivano nella chiesa del carcere, passando poi da quella della Badia. Stanchi per i chilometri effettuati a piedi nudi sull’asfalto, arrivano nella chiesa di Santa Maria la cava conosciuta anche come chiesa della Campana. Il cuore della città pulsa, si ammanta di odori e colori. Con il volto devastato dalla fatica, i nuri arrivano sotto l’arco trionfale prima di rientrare nella cattedrale.
Il giro è terminato. Ma non per tutti. Perché in base alla grazia chiesta, chi ha promesso deve effettuarne ancora uno o due. La religiosità della festa mantiene un tono molto elevato, acquistando sempre maggiore intensità, con la tendenza a rinnovare i valori della tradizione sempre più rafforzata.
Gli uomini più giovani procedono sempre a velocità, i meno giovani arrancano elevando lodi ai santi martiri.
La reliquia, per tutta la durata del sacrificio, rimane in chiesa per accogliere i suoi fedeli. La notte del 9 maggio è dedicata alla passione che ricorda il martirio, le torture di Tertullo. Il tiranno invaso da autentico furore fece spogliare i tre fratelli e ordinò che fossero trascinati per le vie della città con le mani legate.
All’alba del 10 maggio del 253 per volere di Tertullo ad Alfio fu strappata la lingua, Filadelfo venne arroventato su un graticola e Cirino buttato in una caldaia bollente di pece. Nessuno riesce a dormire bene quella notte, né la stanchezza è capace di impadronirsi dei lentinesi che aspettano con trepidazione di vedere uscire il loro santo dalla Chiesa.
La giornata successiva è quella del trionfo. Alle 10 di stamane il fercolo d’argento esce dalla Chiesa Madre per essere portato in processione per le vie della città, tra la folla osannante. La festa entra nel vivo della tradizione, sempre rivissuta con trepidante partecipazione.
Sant’Alfio, seduto sulla poltrona d’argento donata nel secolo scorso dal senatore Luigi Beneventano, viene portato fuori dal sagrato, scortato dai cavalieri del Santo Sepolcro con il mantello bianco crociato di rosso, la deputazione, i devoti spingitori.
Quando il corteo giunge davanti al municipio, il portone si apre e il gonfalone della città, il Sindaco, la giunta comunale al completo, autorità civili e militari si uniscono alla processione.
I festeggiamenti si concludono nella notte tra l’11 e il 12, quando Sant’Alfio rientra in chiesa accompagnato dagli applausi.
“Sant’Affiu, cu tuttu u cori” si leva alto nell’aria. Alle sue spalle, il portone della cattedrale si chiude lentamente.
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